giovedì 27 novembre 2014

ASSOCIAZIONE CULTURALE SYNERGHEIN - PROGRAMMA ECONOMICO



Premesse:



Nell’anno 2013 le Amministrazioni Pubbliche hanno speso il 54% del PIL, ovvero più della metà di tutto ciò che gli italiani hanno prodotto è stato “redistribuito” in base a criteri politico-burocratici.

Perché il settore “pubblico-politico” possa spendere il 54% del PIL lo stato deve svolgere un’ attività sistematica si spoliazione coercitiva del patrimonio dei privati, ovvero prelevare i denari coattivamente  dalle tasche dei cittadini.

Il concetto può essere posto ancora diversamente, in modo più “crudo” e realistico, affermando che ognuno di noi ha dovuto lavorare nell’anno 2013 oltre duecento giorni per finanziare il settore “politico-burocratico” e quindi dall’inizio del mese di Gennaio sino alla fine del mese di Luglio ha lavorato per lo stato e solo da Agosto a Dicembre ha lavorato per sé stesso e per la sua famiglia.

Ne consegue che tra fiscalità e libertà degli individui corre un rapporto inversamente proporzionale nel quale il superamento di una certa soglia di prelievo coincide con la fine della libertà personale, della dignità dell’Uomo, e dell’esistenza stessa dei fondamentali di uno stato democratico.

L’Associazione Culturale Synerghein ritiene quindi, alla luce delle suesposte considerazioni, di articolare un programma economico finalizzato a limitare l’ingerenza del potere burocratico nella vita dei cittadini e la conseguente spoliazione sistematica  delle loro ricchezze, fondato sui seguenti punti programmatici:

1) LIMITAZIONE DELLA POTESTA' DI PRELIEVO FISCALE AD UNA ALIQUOTA MASSIMA PREDETERMINATA CON NORMA DI RANGO COSTITUZIONALE.

La Costituzione di un Paese è il patto sociale da cui traggono origine i Diritti ed i Doveri fondamentali dei suoi cittadini.

La spoliazione dei beni dei Produttori di Ricchezza, ovvero di quanti tra i cittadini concorrono con il loro lavoro, i loro sacrifici. il loro denaro, il loro rischio personale a formare il prodotto interno lordo, ovvero l’insieme della ricchezza effettiva del paese, di cui tutti  indirettamente si beneficiano, deve essere limitata, nella sua aliquota massima, da una norma di rango costituzionale che non sia suscettibile di modificazioni da parte del potere legislativo, né da parte di quello esecutivo.

L’obiettivo è realizzabile attraverso una riserva di legge costituzionale che ponga un tetto massimo al prelievo fiscale e lo predetermini in una aliquota inviolabile che non sia superiore ad un terzo della ricchezza prodotta. Pochi sanno che vi sono precedenti autorevoli in altri sistemi normativi europei, primo tra tutti quello della Germania, nella cui Costituzione è posto un vero e proprio tetto di intangibilità da parte dell’ordinamento nei confronti di persone e famiglie. Il principio della limitazione al prelievo fiscale complessivo è stato recentemente confermato da una sentenza pronunciata dalla Corte di Karlsruhe, che è l’equivalente della nostra Corte Costituzionale, in forza della quale nessun meccanismo automatico europeo verrà accettato dalla Germania senza passare attraverso il voto del Parlamento tedesco.

Voto che sarà comunque condizionato dal limite costituzionalmente statuito.

L’insipienza e le carenze di conoscenza in materia economica e gestoria dei governanti italiani devono essere superate da un atto di indirizzo politico che introduca un limite, in Costituzione, ai suoi abusi.

2) EDOZIONE DEI CITTADINI IN ORDINE ALLA DIFFERENZA CONCETTUALE INTERCORRENTE TRA TASSA E IMPOSTA.
L’abuso del potere dello stato molte volte si giova dell’inconsapevolezza dei cittadini in ordine all’aneticità di “pretese” che, a seguito di “lavaggi del cervello” mediatici, vengono prospettate come dogmi indiscutibili ed immodificabili. Dogmi generati e celebrati da una sorta di “liturgia dello stato” che arriva a spacciarli per verità scientifiche ed a nobilitarli ammantandoli di un’aura di eticità.

Gli adolescenti della vicina svizzera, nelle ore di lezione di educazione civica apprendono , in giovane età e grazie ad un sistema scolastico adeguato che si pone l’obiettivo di creare dei cittadini e non dei sudditi, la fondamentale distinzione, in materia tributaria, tra il concetto di tassa e quello di imposta.

La prima è un corrispettivo per un servizio prestato dallo stato o dalle sue amministrazioni territoriali, ovvero il “prezzo” di una prestazione che deve essere utile per il cittadino e adeguata all’ammontare del tributo versato.

L’imposta, come indica il termine, è tutt’altra cosa, ovvero una imposizione volta a coprire i costi della burocrazia dello stato, ottenuta coercitivamente attraverso quello che Max Weber definiva come una delle forme dell’ “esercizio del monopolio della violenza “dello stato.

La storia dei sistemi statuali ci evidenzia come l’imposizione fiscale, a differenza della tassazione, non sia appartenuta , in termini significativi, alla condizione dell’umanità.

In epoca classica i sudditi conoscevano esclusivamente la tassazione, in forma di capitazione, che aveva valenza di corrispettivo per i servizi prestati alla collettività. Così pure in epoca feudale non vi era imposizione fiscale, ma esclusivamente tassazione, espressa nelle forme delle c.d. “Decime”, ammontanti ad un massimo della decima parte del reddito prodotto in un anno, laiche o ecclesiastiche a seconda che venissero versate ad un Feudatario oppure ad un Abate, quale corrispettivo per l’esercizio dei diritti di “legnatico”, ovvero di raccogliere liberamente la legna dai boschi del feudo, di “acquatico”, ovvero di approvvigionarsi di acqua dalla fonte o dai pozzi del feudo, di utilizzo del mulino feudale per macinare il grano, e naturalmente del “diritto di protezione” garantito dagli armigeri  e dalle milizie feudali.

Medesimo criterio e natura avevano i tributi corrisposti da sudditi e cittadini in epoca comunale.

L’imposizione fiscale, in epoca moderna, nasce intorno al 1740 in Francia, ove Jean Baptist Colbert convince Luigi XIV a “sollevare” dalla gestione amministrativa del reame i feudatari, che non costavano nulla alla corona, ed a sostituirli  con gli “intendenti”, ovvero i primi burocrati della storia moderna. Da quel momento la popolazione viene colpita dall’imposizione fiscale, finalizzata a pagare e mantenere questa nuova “casta” di potenti.

Vi è da dire, per amore di verità, che in quel periodo storico, come anche nel secolo successivo, il numero dei burocrati ed i relativi oneri gravanti sui sudditi in materia di corrispondente imposizione furono relativamente modesti.

La burocrazia però, in Europa con il XIX secolo, ed in Italia segnatamente con la sua unificazione nel 1861, inizia la sua inarrestabile crescita esponenziale , nel numero e nei poteri. Una dinamica inquietante che porta Max Weber in Economia e Società a definire la burocrazia come “anomalia totalitaria delle democrazie rappresentative”, ed a delinearne l’intrinseca pericolosità osservando come mentre i rappresentanti del potere politico sono eletti dal popolo i burocrati, una volta incardinati nella loro funzione, sfuggono ad ogni controllo popolare. La burocrazia tende a perpetuarsi ed annacquare le proprie responsabilità crescendo smodatamente nel numero dei suoi funzionari, che nel nostro paese superano i quattro milioni, contro il milione della Germania, ed il milione e settecentomila unità della Francia.

Il numero elefantiaco dei dipendenti pubblici fa sì che nel nostro paese la pressione fiscale non possa scendere al livello delle aliquote sensibilmente più basse adottate dagli altri paesi europei.

Ogni giorno, in Italia, per ogni funzionario pubblico che esercita una attività del tutto improduttiva di ricchezza un lavoratore autonomo , un imprenditore, un professionista, un lavoratore  subordinato del settore privato deve svolgere un doppio quantitativo di lavoro destinato a mantenere sé stesso ed il suo omologo parassita. Un parassita che, specularmente, forte dell’arroganza che trae dal suo status sociale e dimentico della fonte del suo sostentamento, lo disprezza, giudicandolo “un evasore” e considerandolo alla stregua di un “paria”.

I cittadini, giovani e meno giovani, devono essere sempre nelle condizioni di percepire la liceità di ciò che viene loro chiesto e quindi di sapere distinguere tra quello che è il corrispettivo di una prestazione, (ovvero tassa contro servizio) e quella che è una spoliazione legalizzata volta al mantenimento di una casta ricca di privilegi e improduttiva di ricchezza.

La percezione di questa fondamentale differenziazione non è del resto percepita dai nostri governanti, i quali, parlando indistintamente di tasse e imposte, o peggio utilizzando i due termini come sinonimi dimostrano una profonda ignoranza in materia tributaria e, quel che è peggio, un totale disprezzo dei diritti fondamentali di quei cittadini che, senza averne capacità e cultura, pretendono di amministrare.

3) RIDUZIONE DELLA BUROCRAZIA ITALIANA NEI SUOI NUMERI E NEL COSTO PER I CONTRIBUENTI.

Nel capo precedente abbiamo evidenziato come in un sistema democratico sia indispensabile svolgere un’ azione didattica sulla cittadinanza, volta a consentire la percezione di quelli che sono illegittimi strumenti di compressione dei suoi diritti fondamentali, e segnatamente ad attribuire alla popolazione delle corrette “lenti di lettura”, idonee a discernere tra le richieste lecite (le tasse) e gli abusi (le imposte).

Riteniamo ora sia utile illustrare come sia indispensabile ridurre a numeri fisiologici l’organico delle pubbliche amministrazioni per potere ridurre la pressione fiscale e consentire una ricostruzione del sistema produttivo del nostro paese.

Molti uomini politici , o meglio molti politicanti che intendono la politica come strumento per lucrare indennità attraverso l’acquisizione dei favori elettorali di taluni ceti sociali, nel momento in cui viene loro prospettata l’”anomalia italiana”, ovvero la presenza ingombrante di un ceto burocratico-parassitario strutturato in numeri non fisiologici per una economia di mercato e la conseguente necessità di una sua drastica riduzione “sviano” l’attenzione dell’opinione pubblica da quello che è il problema “cardine” proponendo, più semplicemente, criteri di “maggiore efficienza” e di “semplificazione burocratica”.

Quasi che una maggiore efficienza della burocrazia potesse determinare una riduzione dei suoi costi e trasformarla da organismo “erogativo” delle ricchezze prodotte da altri in un organismo generatore di ricchezza.

Una simile prospettazione offende l’intelligenza e ripugna a chiunque si accosti, in buona fede, ad una soluzione di un problema di eccesso redistributivo che ha generato la distruzione del sistema produttivo italiano.

Pare quindi indispensabile ridurre di tre milioni di unità il numero dei dipendenti pubblici italiani, portandolo al numero fisiologico dei dipendenti pubblici degli altri paesi europei.

Questo per consentire la sopravvivenza del “Sistema-Italia”. Non dimentichiamo che Max Weber definiva la burocrazia “una cappa pesante come il piombo, ma fragile come la ghisa”, in quanto la contrazione del gettito tributario conseguente ad una crisi di produttività industriale ne determina sempre la distruzione, non essendo organismo produttore di ricchezza economica .

I casi- e le sorti - della burocrazia argentina nel 2003 e di quella greca oggi sono eloquenti.

Si rende necessario riconvertire la struttura burocratica, ormai insostenibilmente onerosa per i contribuenti, in una struttura agile di agenzie private di servizi destinate ad operare secondo schemi di mercato ed in condizioni di economicità.

Questo prima che uno shock economico renda necessaria l’applicazione della “cura greca”.

4) RITORNO AD UNA IMPOSIZIONE FISCALE PROPORZIONALE CON ABBANDONO DELLA PROGRESSIVITA’.

Il principio della progressività dell’imposta è frutto culturale del ventesimo secolo e precipitato storico della filosofia marxiana.

Gli argomenti  a suo sostegno si fondano sulla considerazione che “è normale chiedere di più a chi possiede (e produce ) di più”, e questo in un’ottica di “etica” redistribuzione della ricchezza. Il principio, apparentemente condivisibile, se attuato porta a risultati perversi, se si pensa che , già con la tassazione proporzionale, chi guadagna di più paga proporzionalmente più tributi.

Il primo è quello “disincentivante”, il secondo è quello della “distorsione delle scelte individuali”.

L’effetto disincentivante della eccessiva fiscalità, espressa anche attraverso la progressività dell’imposta, è dimostrato graficamente dalla “curva di Laffer”, infra riportata, la quale evidenzia chiaramente che più una imposta aumenta, più si restringe ,oltre ad una certa misura, il gettito tributario.

Se, ipoteticamente ,il tasso raggiunge il 100% non c’è più materia imponibile, né gettito.


In altri termini, lo stato che aumenta l’imposizione oltre un certo limite perde introiti, come un imprenditore privato che aumenta troppo i prezzi.

Per non parlare poi della distorsione delle “scelte individuali”.

Come evidenzia la mala sorte economica del nostro disastrato paese un tasso di imposizione elevato diventa confiscatorio, sopprimendo l’incentivo a creare risorse o a mantenere quelle esistenti.

Sono del resto sempre più numerosi gli imprenditori italiani che scoraggiati dal peso di una eccessiva fiscalità , riducono o cessano la loro attività, rinunciano ad ampliare l’impresa, o addirittura si trasferiscono all’estero, dove l’imposizione è minore.

Da ultimo pare lecito osservare, a sostegno di una imposizione che vada nella direzione della esclusiva proporzionalità, come i percettori dei redditi più elevati normalmente ricorrono in forma minore ai servizi pubblici, potendo esercitare liberamente la scelta di servizi privati (scuole, cliniche ecc. )

5) ABOLIZIONE DELL’IMPOSTA SULLE SUCCESSIONI IN QUANTO IMMORALE E NOCIVA.

L'imposta di successione e donazione fu ridotta nel 2000 con la legge n. 342/2000 e fu abolita nel 2001 dal governo Berlusconi con la legge n. 383/2001. L'imposta è stata ripristinata nel 2006 dal secondo governo Prodi con il decreto-legge n. 262/2006, convertito con la legge n. 286/2006.

la vessazione dello stato non risparmia il cittadino nemmeno di fronte all’evento tragico e conclusivo della sua esistenza: il fisco, braccio armato della burocrazia, è ancora là, pronto ad approfittare della morte per prendere la sua parte.

Tassare un’ eredità è anetico in quanto il patrimonio lecitamente costruito dal defunto è già stato assoggettato a tassazione in ogni sua fase formativa e la trasmissione libera dei beni è uno degli strumenti attraverso i quali si realizza la crescita e l’evoluzione dell’umanità.

Negare queste verità significa legittimare un potere espropriativo finalizzato al mantenimento di una casta improduttiva e parassita, con compressione e pregiudizio di diritti che in ogni epoca storica sono stati reputati sacri e inviolabili.

6) LIBERAZIONE DEL RISPARMIO E  USCITA DALLA CRISI.

La crisi che il nostro paese sta attraversando, o meglio sarebbe dire, sta vivendo in forma cronicizzata, è conseguenza diretta di un eccesso impositivo che ha impedito, negli ultimi anni, la costituzione del risparmio.

Abbiamo ampiamente spiegato le ragioni che inducono lo stato a svolgere una attività sistematica di spoliazione della ricchezza prodotta dai cittadini non appartenenti alla “casta” della burocrazia. analizzeremo ora le conseguenze di questa azione scellerata.

In primis, l’eccesso di fiscalità porta a due elementi di disturbo, per l’economia, che sono:

-la limitazione della crescita, conseguenza della impossibilità di un necessario afflusso di capitali, indispensabile all’esercizio di una attività di impresa;

-la destabilizzazione di una fisiologica economia di mercato, in quanto sostituisce al finanziamento tramite il risparmio un finanziamento tramite il credito.

Per uscire dalla crisi e “ricostruire il paese “ è necessario rimuovere gli ostacoli impositivi alla formazione del risparmio. e questo può avvenire esclusivamente attraverso una riduzione della pressione impositiva compensata dalla minore spesa determinata da una azione mirata sui costi –e sulla dimensione- della struttura burocratica.

Non sono necessari né “incentivi al risparmio” né “incentivi alle assunzioni”. I posti di lavoro e la crescita economica si realizzano solo attraverso il rispetto delle regole fisiologiche del Mercato, e non con misure “per decreto”, magari realizzate attraverso ulteriori spoliazioni dei beni dei produttori di ricchezza di questo paese.

Il resto è malafede o utopia.

Torino, 12.02.2014.

Avv. Claudio BERRINO.