Avv. Claudio BERRINO |
In occidente nell'ultimo decennio abbiamo assistito, progressivamente e massivamente, al diffondersi di quella che molti osservatori definiscono enfaticamente “civiltà multietnica”, ma che forse più corretto e realistico sarebbe denominare “società a composizione culturale ed etnica disomogenea”. Questo in quanto il concetto di “civiltà” presuppone un necessario processo di osmosi e fusione tra principi etici e culture differenti, ovvero un percorso che in occidente, sino ad oggi, non pare possibile definire realizzato.
Per riflettere sull'argomento può essere interessante esaminare come, nelle differenti epoche storiche, sia stato diversamente concepito il concetto di tolleranza nei confronti dei gruppi etnici disomogenei.
Nell'Impero Romano, ad essere tollerati erano i gruppi e non gli individui, a condizione che rispettassero alcune regole imposte dalle autorità imperiali. Le comunità erano chiuse, a volte impenetrabili, e lo stato di pacificazione veniva mantenuto dai funzionari imperiali. Qui, giova ricordarlo, la disomogeneità etnica era imposta dalla politica di espansione militare e dal connesso istituto giuridico della riduzione in schiavitù, e non conseguenza dei flussi migratori esterni volontari.
Il regime di tolleranza – sotto un profilo istituzionale – maggiormente stabile è quello delle confederazioni etniche ove emerge il tentativo di perseguire una tolleranza specifica concordando i termini della coesistenza.
In questo caso un gruppo dominante organizza la vita comune e può tollerare al suo interno le diverse minoranze a condizione che le diversità culturali non creino un danno oggettivo al tessuto sociale nel quale si inseriscono. E proprio la conservazione dello status quo deve rappresentare un obbiettivo irrinunciabile...
Si pensi alla questione della condizione femminile: le donne islamiche, inserite in gruppi sociali religiosi ortodossi, non possono mostrare il volto o addirittura ridere in pubblico. Così pure molte bambine di origine africana subiscono mutilazioni sessuali gravissime. Vi sarebbe, retoricamente, da chiedersi, se nella nostra veste di portatori di valori della Cultura e della Tradizione Occidentale ci sia consentito passivamente tollerare tali situazioni quando sotto il fittizio paravento della diversità culturale e di una malintesa tolleranza, di fatto vengono commessi abusi ed atti di barbarie riprovevoli.
Ecco che si pone una seconda accezione – questa volta deteriore – del concetto di tolleranza, intesa come rassegnazione ed indifferenza alla quale nessun uomo libero ed intellettualmente onesto può prestare adesione.
Michel Walzer, filosofo politico americano, in una sua opera divulgativa intorno alla questione della convivenza e della tolleranza denominata “Sulla tolleranza”, rileva come tale valore possa assumere forme e gradi assai diversi da porre in scala ascendente, ovvero:
1. Rassegnazione,
2. Indifferenza,
3. Accettazione storica,
4. Curiosità,
5. Entusiasmo.
Si può accettare controvoglia la tolleranza per evitare i conflitti, insomma come male minore, oppure si può accettare con entusiasmo la varietà del mondo: il primo grado non è ancora vera tolleranza, l'ultimo è già oltre...!
Un utile corollario e limite del principio di tolleranza, in generale, così come in materia di flussi migratori, in particolare, può essere il principio di reciprocità, ovvero: “si può essere tolleranti solo con chi accetta di essere tollerante con noi”. In altri termini, in virtù di questa impostazione logica, condivisibile da ogni persona intellettualmente in buona fede, la tolleranza non deve essere intesa come passiva accettazione di tutte le culture differenti, in quanto tra esse ve ne potrebbero esistere alcune oggettivamente intolleranti.
Voltaire, nel suo Dictionnaire philosophique portatif (1764), scriveva << Qu'est ce que c'est la tollerance? C'est prerogative de l'humanitè>>. La tolleranza veniva interpretata, forse per una delle prime volte nella storia moderna, non come un semplice sentimento, afferente la sfera emotiva soggettiva, ma come un principio filosofico e morale di portata generale, destinato a caratterizzare, negli anni successivi, molte carte di diritti, nazionali ed internazionali.
Utile potrebbe essere proprio una riflessione sulla vicenda umana di François Marie Arouet, detto “il Voltaire”, il quale, nonostante la sua professione di un pensiero inconvenzionale e nettamente contrastante con i principi propri di uno stato assoluto, dopo la difesa del dissidente religioso Miguel Servet – che lo assoggettò alle ire del tollerante protestantesimo svizzero e lo costrinse a lasciare Ginevra – trovò fama e trionfale accoglienza nella “intollerante” per definizione, pre rivoluzionaria e assolutista Francia di Luigi XVI...
Lo stato assoluto lo aveva assoggettato alcuni anni prima ad una certamente immeritata prigionia alla Bastiglia in conseguenza di alcuni versetti satirici nei confronti di Filippo d'Orleans, ma la successiva considerazione delle sue capacità intellettuali lo aveva indotto ad essere tollerante nei confronti del suo più implacabile avversatore.
Al contrario, nella tollerante e protestante Svizzera – a fronte di una difesa intellettuale delle posizione di un monaco protestante (Miguel Servet) accusato di dissidenza e condannato al rogo da Calvino – il sentimento della rivalsa era certamente prevalso sul rispetto e sulla considerazione dei suoi meriti intellettuali soggettivi.
Il concetto di tolleranza non parrebbe quindi identificabile nella passiva accettazione delle altrui diversità culturali, ma piuttosto traducibile in un rapporto di interazione intellettuale volto ad introdurre una valutazione ed un confronto di posizioni e pensieri differenti, che talvolta occasionalmente possono ma non necessariamente debbono preludere ad una loro sintesi.
Avv.Claudio BERRINO.