Un primo passo per rimettere nelle mani dei cittadini il futuro dell’Unione e per avere una moneta comune della quale facciano parte solo i Paesi che hanno le carte in regola per farlo senza che la permanenza di qualcuno pesi sulle tasche di altri.
Per questo impegno, a volte, veniamo tacciati di “euro-scetticismo”. In realtà la Lega non è “contro”, ma è “per” un’Europa diversa. Dove appunto il potere di scelta stia nelle mani dei cittadini e non in quelle - come avviene ora - di burocrati pressoché sconosciuti, sempre nominati e mai scelti dalla gente. Il nostro orizzonte va oltre gli Stati nazionali ottocenteschi, per guardare al futuro. Un domani più prossimo di quanto si possa immaginare. L’Italia è una paese conservatore e quello che qui difficilmente riesce a diventare oggetto di dibattito, altrove è già una realtà. Solo qualche settimana fa il premier britannico, David Cameron, e il capo del governo scozzese, Alex Salmond, hanno raggiunto lo storico accordo che mette fine al negoziato tra le parti su calendario e forma della consultazione di un referendum per l’indipendenza della Scozia. Gli aventi diritto - il voto sarà esteso anche ai 16-17enni - dovranno rispondere sì o no ad un solo quesito riguardante l'uscita della patria di Braveheart dal Regno Unito.
Il trasferimento di competenze, reso più ampio durante i governi di Tony Blair, ha portato Edimburgo ad occuparsi di istruzione, sanità, ambiente e giustizia. Un’autonomia che lo Scottish national party, la formazione autonomista di Salmond uscita vittoriosa dalle ultime elezioni regionali, avrebbe voluto estendere ulteriormente. Una prospettiva per nulla avallata dal governo nazionale, in mano ai conservatori, che scelto di giocare la carta del referendum sull’indipendenza per bloccare la richiesta di un federalismo più spinto. Magari accadesse anche da noi! Certamente si tratta di una scommessa piena di incognite, fatta sulla base di sondaggi che, oggi, danno la maggioranza degli scozzesi ancora affezionati all’idea del Regno Unito. Ma le urne si apriranno solo fra due anni. Un lasso di tempo che potrebbe essere sufficiente ad ampliare la base di consenso a favore della secessione. I presupposti ci sono tutti. Lo scorso 22 settembre decine di migliaia di persone hanno manifestato ai giardini di Princes Street nel centro ad Edimburgo per il lancio della campagna a favore del sì, a dimostrazione di quanto il potenziale autonomista possa essere incrementato. Se i pronostici dovessero essere rovesciati e il quesito indipendentista passasse, si innescherebbe una reazione a catena in grado di cambiare profondamente la cartina geografica del vecchio continente.
Un’onda lunga che potrebbe arrivare anche da noi. Anche perché non sarebbe l’unica.
Anche dalla Spagna stanno arrivando parecchi scossoni. Il mese scorso nel Paese Basco le forze indipendentiste hanno vinto le elezioni regionali e il prossimo 25 novembre, quando ad andare al voto sarà la Catalunya, si attende il bis. Il governatore uscente, Artur Mas, ha trasformato questo test in una sorta di referendum per l’indipendenza, prodromico ad una vera e propria consultazione per dire addio a Madrid che ha intenzione di organizzare una volta rieletto.
Matteo SALVINI