Premesse:
Nell’anno 2013 le
Amministrazioni Pubbliche hanno speso il 54% del PIL, ovvero più della metà di
tutto ciò che gli italiani hanno prodotto è stato “redistribuito” in base a
criteri politico-burocratici.
Perché il settore
“pubblico-politico” possa spendere il 54% del PIL lo stato deve svolgere un’
attività sistematica si spoliazione coercitiva del patrimonio dei privati,
ovvero prelevare i denari coattivamente dalle tasche dei cittadini.
Il concetto può essere posto
ancora diversamente, in modo più “crudo” e realistico, affermando che ognuno di
noi ha dovuto lavorare nell’anno 2013 oltre duecento giorni per finanziare il
settore “politico-burocratico” e quindi dall’inizio del mese di Gennaio sino
alla fine del mese di Luglio ha lavorato per lo stato e solo da Agosto a
Dicembre ha lavorato per sé stesso e per la sua famiglia.
Ne consegue che tra fiscalità e
libertà degli individui corre un rapporto inversamente proporzionale nel quale
il superamento di una certa soglia di prelievo coincide con la fine della
libertà personale, della dignità dell’Uomo, e dell’esistenza stessa dei
fondamentali di uno stato democratico.
L’Associazione Culturale
Synerghein ritiene quindi, alla luce delle suesposte considerazioni, di
articolare un programma economico finalizzato a limitare l’ingerenza del potere
burocratico nella vita dei cittadini e la conseguente spoliazione
sistematica delle loro ricchezze, fondato sui seguenti punti
programmatici:
1) LIMITAZIONE DELLA POTESTA' DI PRELIEVO FISCALE AD UNA
ALIQUOTA MASSIMA PREDETERMINATA CON NORMA DI RANGO COSTITUZIONALE.
La Costituzione di un Paese è il
patto sociale da cui traggono origine i Diritti ed i Doveri fondamentali dei
suoi cittadini.
La spoliazione dei beni dei
Produttori di Ricchezza, ovvero di quanti tra i cittadini concorrono con il
loro lavoro, i loro sacrifici. il loro denaro, il loro rischio personale a
formare il prodotto interno lordo, ovvero l’insieme della ricchezza effettiva
del paese, di cui tutti indirettamente si beneficiano, deve essere
limitata, nella sua aliquota massima, da una norma di rango costituzionale che
non sia suscettibile di modificazioni da parte del potere legislativo, né da
parte di quello esecutivo.
L’obiettivo è realizzabile
attraverso una riserva di legge costituzionale che ponga un tetto massimo al
prelievo fiscale e lo predetermini in una aliquota inviolabile che non sia
superiore ad un terzo della ricchezza prodotta. Pochi sanno che vi sono
precedenti autorevoli in altri sistemi normativi europei, primo tra tutti
quello della Germania, nella cui Costituzione è posto un vero e proprio tetto
di intangibilità da parte dell’ordinamento nei confronti di persone e famiglie.
Il principio della limitazione al prelievo fiscale complessivo è stato
recentemente confermato da una sentenza pronunciata dalla Corte di Karlsruhe,
che è l’equivalente
della nostra Corte Costituzionale, in forza della quale nessun meccanismo
automatico europeo verrà accettato dalla Germania senza passare attraverso il
voto del Parlamento tedesco.
Voto che sarà comunque
condizionato dal limite costituzionalmente statuito.
L’insipienza e le carenze di
conoscenza in materia economica e gestoria dei governanti italiani devono
essere superate da un atto di indirizzo politico che introduca un limite, in
Costituzione, ai suoi abusi.
2) EDOZIONE DEI CITTADINI IN ORDINE ALLA
DIFFERENZA CONCETTUALE INTERCORRENTE TRA TASSA E IMPOSTA.
L’abuso del potere dello stato
molte volte si giova dell’inconsapevolezza dei cittadini in ordine all’aneticità
di “pretese” che, a seguito di “lavaggi del cervello” mediatici, vengono
prospettate come dogmi indiscutibili ed immodificabili. Dogmi generati e
celebrati da una sorta di “liturgia dello stato” che arriva a spacciarli per
verità scientifiche ed a nobilitarli ammantandoli di un’aura di eticità.
Gli adolescenti della vicina
svizzera, nelle ore di lezione di educazione civica apprendono , in giovane età
e grazie ad un sistema scolastico adeguato che si pone l’obiettivo di creare
dei cittadini e non dei sudditi, la fondamentale distinzione, in materia
tributaria, tra il concetto di tassa e quello di imposta.
La prima è un corrispettivo per
un servizio prestato dallo stato o dalle sue amministrazioni territoriali,
ovvero il “prezzo” di una prestazione che deve essere utile per il cittadino e
adeguata all’ammontare del tributo versato.
L’imposta, come indica il
termine, è tutt’altra cosa, ovvero una imposizione volta a coprire i costi
della burocrazia dello stato, ottenuta coercitivamente attraverso quello che
Max Weber definiva come una delle forme dell’ “esercizio del monopolio della
violenza “dello stato.
La storia dei sistemi statuali
ci evidenzia come l’imposizione fiscale, a differenza della tassazione, non sia
appartenuta , in termini significativi, alla condizione dell’umanità.
In epoca classica i sudditi
conoscevano esclusivamente la tassazione, in forma di capitazione, che aveva
valenza di corrispettivo per i servizi prestati alla collettività. Così pure in
epoca feudale non vi era imposizione fiscale, ma esclusivamente tassazione, espressa
nelle forme delle c.d. “Decime”, ammontanti ad un massimo della decima parte
del reddito prodotto in un anno, laiche o ecclesiastiche a seconda che
venissero versate ad un Feudatario oppure ad un Abate, quale corrispettivo per
l’esercizio dei diritti di “legnatico”, ovvero di raccogliere liberamente la
legna dai boschi del feudo, di “acquatico”, ovvero di approvvigionarsi di acqua
dalla fonte o dai pozzi del feudo, di utilizzo del mulino feudale per macinare
il grano, e naturalmente del “diritto di protezione” garantito dagli
armigeri e dalle milizie feudali.
Medesimo criterio e natura
avevano i tributi corrisposti da sudditi e cittadini in epoca comunale.
L’imposizione fiscale, in epoca
moderna, nasce intorno al 1740 in Francia, ove Jean Baptist Colbert convince
Luigi XIV a “sollevare” dalla gestione amministrativa del reame i feudatari,
che non costavano nulla alla corona, ed a sostituirli con gli
“intendenti”, ovvero i primi burocrati della storia moderna. Da quel momento la
popolazione viene colpita dall’imposizione fiscale, finalizzata a pagare e
mantenere questa nuova “casta” di potenti.
Vi è da dire, per amore di
verità, che in quel periodo storico, come anche nel secolo successivo, il
numero dei burocrati ed i relativi oneri gravanti sui sudditi in materia di
corrispondente imposizione furono relativamente modesti.
La burocrazia però, in Europa
con il XIX secolo, ed in Italia segnatamente con la sua unificazione nel 1861,
inizia la sua inarrestabile crescita esponenziale , nel numero e nei poteri.
Una dinamica inquietante che porta Max Weber in Economia e Società a definire
la burocrazia come “anomalia totalitaria delle democrazie rappresentative”, ed
a delinearne l’intrinseca pericolosità osservando come mentre i rappresentanti
del potere politico sono eletti dal popolo i burocrati, una volta incardinati
nella loro funzione, sfuggono ad ogni controllo popolare. La burocrazia tende a
perpetuarsi ed annacquare le proprie responsabilità crescendo smodatamente nel
numero dei suoi funzionari, che nel nostro paese superano i quattro milioni,
contro il milione della Germania, ed il milione e settecentomila unità della Francia.
Il numero elefantiaco dei
dipendenti pubblici fa sì che nel nostro paese la pressione fiscale non possa
scendere al livello delle aliquote sensibilmente più basse adottate dagli altri
paesi europei.
Ogni giorno, in Italia, per ogni
funzionario pubblico che esercita una attività del tutto improduttiva di
ricchezza un lavoratore autonomo , un imprenditore, un professionista, un
lavoratore subordinato del settore privato deve svolgere un doppio
quantitativo di lavoro destinato a mantenere sé stesso ed il suo omologo
parassita. Un parassita che, specularmente, forte dell’arroganza che trae dal
suo status sociale e dimentico della fonte del suo sostentamento, lo disprezza,
giudicandolo “un evasore” e considerandolo alla stregua di un “paria”.
I cittadini, giovani e meno
giovani, devono essere sempre nelle condizioni di percepire la liceità di ciò
che viene loro chiesto e quindi di sapere distinguere tra quello che è il
corrispettivo di una prestazione, (ovvero tassa contro servizio) e quella che è
una spoliazione legalizzata volta al mantenimento di una casta ricca di
privilegi e improduttiva di ricchezza.
La percezione di questa fondamentale
differenziazione non è del resto percepita dai nostri governanti, i quali,
parlando indistintamente di tasse e imposte, o peggio utilizzando i due termini
come sinonimi dimostrano una profonda ignoranza in materia tributaria e, quel
che è peggio, un totale disprezzo dei diritti fondamentali di quei cittadini
che, senza averne capacità e cultura, pretendono di amministrare.
3) RIDUZIONE DELLA BUROCRAZIA ITALIANA NEI
SUOI NUMERI E NEL COSTO PER I CONTRIBUENTI.
Nel capo precedente abbiamo
evidenziato come in un sistema democratico sia indispensabile svolgere un’
azione didattica sulla cittadinanza, volta a consentire la percezione di quelli
che sono illegittimi strumenti di compressione dei suoi diritti fondamentali, e
segnatamente ad attribuire alla popolazione delle corrette “lenti di lettura”, idonee
a discernere tra le richieste lecite (le tasse) e gli abusi (le imposte).
Riteniamo ora sia utile
illustrare come sia indispensabile ridurre a numeri fisiologici l’organico
delle pubbliche amministrazioni per potere ridurre la pressione fiscale e
consentire una ricostruzione del sistema produttivo del nostro paese.
Molti uomini politici , o meglio
molti politicanti che intendono la politica come strumento per lucrare
indennità attraverso l’acquisizione dei favori elettorali di taluni ceti
sociali, nel momento in cui viene loro prospettata l’”anomalia italiana”,
ovvero la presenza ingombrante di un ceto burocratico-parassitario strutturato
in numeri non fisiologici per una economia di mercato e la conseguente
necessità di una sua drastica riduzione “sviano” l’attenzione dell’opinione
pubblica da quello che è il problema “cardine” proponendo, più semplicemente,
criteri di “maggiore efficienza” e di “semplificazione burocratica”.
Quasi che una maggiore
efficienza della burocrazia potesse determinare una riduzione dei suoi costi e
trasformarla da organismo “erogativo” delle ricchezze prodotte da altri in un
organismo generatore di ricchezza.
Una simile prospettazione
offende l’intelligenza e ripugna a chiunque si accosti, in buona fede, ad una
soluzione di un problema di eccesso redistributivo che ha generato la
distruzione del sistema produttivo italiano.
Pare quindi indispensabile
ridurre di tre milioni di unità il numero dei dipendenti pubblici italiani,
portandolo al numero fisiologico dei dipendenti pubblici degli altri paesi
europei.
Questo per consentire la
sopravvivenza del “Sistema-Italia”. Non dimentichiamo che Max Weber definiva la
burocrazia “una cappa pesante come il piombo, ma fragile come la ghisa”, in
quanto la contrazione del gettito tributario conseguente ad una crisi di
produttività industriale ne determina sempre la distruzione, non essendo
organismo produttore di ricchezza economica .
I casi- e le sorti - della burocrazia argentina
nel 2003 e di quella greca oggi sono eloquenti.
Si rende necessario riconvertire
la struttura burocratica, ormai insostenibilmente onerosa per i contribuenti,
in una struttura agile di agenzie private di servizi destinate ad
operare secondo schemi di mercato ed in condizioni di economicità.
Questo prima che uno shock
economico renda necessaria l’applicazione della “cura greca”.
4) RITORNO AD UNA IMPOSIZIONE FISCALE
PROPORZIONALE CON ABBANDONO DELLA PROGRESSIVITA’.
Il principio della progressività
dell’imposta è frutto culturale del ventesimo secolo e precipitato storico
della filosofia marxiana.
Gli argomenti a suo
sostegno si fondano sulla considerazione che “è normale chiedere di più a chi
possiede (e produce ) di più”, e questo in un’ottica di “etica” redistribuzione
della ricchezza. Il principio, apparentemente condivisibile, se attuato porta a
risultati perversi, se si pensa che , già con la tassazione proporzionale, chi
guadagna di più paga proporzionalmente più tributi.
Il primo è quello “disincentivante”, il secondo è
quello della “distorsione delle scelte individuali”.
L’effetto disincentivante della
eccessiva fiscalità, espressa anche attraverso la progressività dell’imposta, è
dimostrato graficamente dalla “curva di Laffer”, infra riportata, la quale
evidenzia chiaramente che più una imposta aumenta, più si restringe ,oltre ad
una certa misura, il gettito tributario.
Se, ipoteticamente ,il tasso raggiunge il 100%
non c’è più materia imponibile, né gettito.
In altri termini, lo stato che
aumenta l’imposizione oltre un certo limite perde introiti, come un
imprenditore privato che aumenta troppo i prezzi.
Per non parlare poi della
distorsione delle “scelte individuali”.
Come evidenzia la mala sorte
economica del nostro disastrato paese un tasso di imposizione elevato diventa
confiscatorio, sopprimendo l’incentivo a creare risorse o a mantenere quelle
esistenti.
Sono del resto sempre più
numerosi gli imprenditori italiani che scoraggiati dal peso di una eccessiva
fiscalità , riducono o cessano la loro attività, rinunciano ad ampliare
l’impresa, o addirittura si trasferiscono all’estero, dove l’imposizione è
minore.
Da ultimo pare lecito osservare,
a sostegno di una imposizione che vada nella direzione della esclusiva
proporzionalità, come i percettori dei redditi più elevati normalmente
ricorrono in forma minore ai servizi pubblici, potendo esercitare liberamente
la scelta di servizi privati (scuole, cliniche ecc. )
5) ABOLIZIONE DELL’IMPOSTA SULLE SUCCESSIONI IN QUANTO IMMORALE
E NOCIVA.
L'imposta di successione e
donazione fu ridotta nel 2000 con la legge n. 342/2000 e fu abolita nel 2001
dal governo Berlusconi con la legge n. 383/2001. L'imposta è stata ripristinata
nel 2006 dal secondo governo Prodi con il decreto-legge n. 262/2006, convertito
con la legge n. 286/2006.
la vessazione dello stato non
risparmia il cittadino nemmeno di fronte all’evento tragico e conclusivo della
sua esistenza: il fisco, braccio armato della burocrazia, è ancora là, pronto
ad approfittare della morte per prendere la sua parte.
Tassare un’ eredità è anetico in
quanto il patrimonio lecitamente costruito dal defunto è già stato assoggettato
a tassazione in ogni sua fase formativa e la trasmissione libera dei beni è uno
degli strumenti attraverso i quali si realizza la crescita e l’evoluzione
dell’umanità.
Negare queste verità significa
legittimare un potere espropriativo finalizzato al mantenimento di una casta
improduttiva e parassita, con compressione e pregiudizio di diritti che in ogni
epoca storica sono stati reputati sacri e inviolabili.
6) LIBERAZIONE DEL RISPARMIO E USCITA DALLA CRISI.
La crisi che il nostro paese sta
attraversando, o meglio sarebbe dire, sta vivendo in forma cronicizzata, è
conseguenza diretta di un eccesso impositivo che ha impedito, negli ultimi
anni, la costituzione del risparmio.
Abbiamo ampiamente spiegato le
ragioni che inducono lo stato a svolgere una attività sistematica di
spoliazione della ricchezza prodotta dai cittadini non appartenenti alla
“casta” della burocrazia. analizzeremo ora le conseguenze di questa azione
scellerata.
In primis, l’eccesso di
fiscalità porta a due elementi di disturbo, per l’economia, che sono:
-la limitazione della crescita,
conseguenza della impossibilità di un necessario afflusso di capitali,
indispensabile all’esercizio di una attività di impresa;
-la destabilizzazione di una
fisiologica economia di mercato, in quanto sostituisce al finanziamento tramite
il risparmio un finanziamento tramite il credito.
Per uscire dalla crisi e
“ricostruire il paese “ è necessario rimuovere gli ostacoli impositivi alla
formazione del risparmio. e questo può avvenire esclusivamente attraverso una
riduzione della pressione impositiva compensata dalla minore spesa determinata
da una azione mirata sui costi –e sulla dimensione- della struttura
burocratica.
Non sono necessari né “incentivi
al risparmio” né “incentivi alle assunzioni”. I posti di lavoro e la crescita
economica si realizzano solo attraverso il rispetto delle regole fisiologiche
del Mercato, e non con misure “per decreto”, magari realizzate attraverso
ulteriori spoliazioni dei beni dei produttori di ricchezza di questo paese.
Il resto è malafede o utopia.
Torino, 12.02.2014.
Avv. Claudio
BERRINO.