Un istituto che in epoca moderna appare, nel sentimento comune, “barbaro” (nel senso proprio del termine), antigiuridico (viene penalmente sanzionato), contrastante con il principio di devoluzione integrale allo Stato dell’esercizio di quel diritto di vendetta che nelle Società Tradizionali era demandato al parente superstite o al suo gruppo agnatizio.
Con la formazione degli Stati Nazionali, a partire dal XVI secolo, e successivamente con le elaborazioni filosofiche e giuridiche della “Teoria Generale dello Stato” viene soppressa la possibilità, per un privato, di ottenere soddisfazione per la lesione di un proprio diritto ricorrendo all'uso della forza, dovendo obbligatoriamente demandare al Leviathano, nuova sorta di “Divinità Laica”, la tutela del torto subito.
Ovviamente, nella Storia dell’Uomo, non sempre è stato così. Secondo il diritto germanico, antico ed intermedio, la tutela del diritto spettava in primo luogo al singolo, alla sua famiglia e al suo gruppo gentilizio e solamente in caso di necessità allo Stato – inteso come Stato Collettività ovvero all'intero popolo - o ai suoi capi e rappresentanti.
Il gruppo parentale superstite aveva il diritto di vendicarsi, e di dare inizio di propria mano ad una faida, così da costringere chi gli aveva procurato danno a espiare la propria colpa. Per questa ragione, nella tradizione germanica, la faida aveva dignità di istituto giuridico.
Ma poiché esso metteva in discussione la sicurezza del più debole rispetto al più forte, si faceva in modo – per equità - di intervenire a favore del danneggiato qualora questi non volesse o non potesse avvalersi del suo diritto di faida. Chi aveva provocato il danno veniva portato di fronte ad un tribunale e costretto a dare soddisfazione al danneggiato. Generalmente tale soddisfazione consisteva nel pagamento di una determinata somma di denaro (guidrigildo), ed in questo modo si ripristinava la pace tra le parti. Nel regno dei Longobardi la sostituzione della faida con il guidrigildo venne sancita con l'Editto di Rotari (643).
La differenza sostanziale rispetto agli ordinamenti giuridici odierni, è che il ricorso a una procedura di tipo processuale era facoltativo ed alternativo alla possibilità di tutelare il proprio diritto autonomamente, facendo anche uso della forza. Uso della forza che in questo caso era considerato pienamente legittimo - a differenza del diritto moderno, nel quale esiste la figura del reato di ragion fatta.
Questa digressione storica-giuridica mi conduce ad esprimere perplessità su una forma di riparazione del torto giuridico subito demandata in termini “monopolistici” allo Stato, in quanto “terzo” rispetto alla sfera giuridica ed affettiva violata dall’azione delittuosa, quindi minormente sensibilizzato rispetto a chi ha subito in prima persona lo strazio conseguente al torto giuridico stesso.
Il demandare al Leviathano l’esercizio del “monopolio della giurisdizione e della vendetta“ sconta gli effetti di impostazioni egualitaristiche, in forza delle quali si giunge alla considerazione assurda dell’eguaglianza della misura del dolore personale prodotto dall’evento delittuoso, ed ancor più al principio della uguaglianza di fronte alla Legge.
In virtù di questo principio il Santo, il Genio, il Filantropo o anche semplicemente il probo cittadino quando commettono un reato vengono considerati - e giudicati - dalla propaggine giurisdizionale del Leviathano alla stregua del criminale abituale, del pervertito o della peggiore feccia umana.
Così pure viene istituita una sorta di “omologazione del dolore” quando le stesse persone subiscono un torto giuridico, che ha la conseguenza di fare soggiacere ad una pena predeterminata l’autore dell’illecito, a prescindere dalla misura reale della devastazione effettiva della sfera giuridica ed affettiva del destinatario dell’illecito, di volta in volta prodotta.
Tutto ciò quale tributo votivo offerto sull’Ara della Divinità di una innaturale eguaglianza.
Presidente Circolo culturale Synerghein
Avv. Claudio BERRINO