Negli anni '70, caratterizzati da benessere economico disgiunto, in molti casi, da formazione culturale esistevano ristoranti nei quali gli avventori venivano apostrofati con epiteti e toni insultanti dal personale di servizio. Uno di essi, a Trastevere, era noto come "il ristorante della parolaccia ". In pratica, accadeva che i "nuovi ricchi ", possedendo denari ma non la conoscenza delle regole comportamentali che disciplinano un vivere dignitoso, reputassero "divertente" essere offesi e svillaneggiati. Sono mutati i tempi, non vi sono più i "pervenus " in quanto l'effimero benessere economico di quegli anni è venuto ad affievolirsi, ma sono sopravvissuti socialmente quei poveretti privi di adeguate lenti di lettura che confondono la provocazione con l'insolenza e la villania. Il cattivo spettacolo offerto ieri sera da un gruppo di artisti che si esibivano al Festival di Sanremo con un pubblico virtuale che ne apprezzava il poco percepibile "profilo artistico" ha riproposto quell'imbarazzante fenomeno della inadeguatezza di chi confonde oggi l'arte con la volgarità come ieri confondeva l'umorismo con la maleducazione. Ieri sera sul palco di Sanremo un gruppo di guitti canori ha oltraggiato la bandiera nazionale e la comune percezione della morale invocando una scriminante culturale nei fatti inesistente, rivolgendosi e richiedendo protezione mediatica a quel gruppo di giornalisti e spettatori osannanti l'Lgbt e l'inclusione forzata che caratterizza il nostro presente storico. Probabilmente si tratta dei discendenti di quei "pervenus" che negli anni '70 acquistavano come opere d'arte gli escrementi in scatola di Manzoni intessendone lodi.
Claudio Berrino