Gli "arresti domiciliari " da Covid19
proseguono. Trascorro da alcuni giorni la mia vita tra studio
professionale e casa. Sono state rinviate le udienze in Tribunale, si
sono rarefatti i colloqui con i clienti, lo studio del contenzioso
procede con una tranquillità e lentezza che precedentemente non
conoscevo. Sono immerso in un microcosmo di cui riesco finalmente a
scorgere le sfumature ed a percepire un silenzio ovattato a cui mi sto
pericolosamente abituando. Nelle poche centinaia di metri che mi
separano dal mio luogo di lavoro riesco addirittura a scorgere taluni
aspetti psicologici delle persone che incontro. In questi giorni osservo
che anche il loro abbigliamento è cambiato, diventando minormente
formale e pretenzioso. Le giacche e le cravatte dei Colleghi hanno
ceduto il posto ai maglioncini, le scarpe inglesi a piú confortevoli
"polacchine" con suole in gomma. I loro volti tradiscono
contemporaneamente paura e tranquillità, due sentimenti contrastanti ma
che vedo stranamente coesistere. Percepisco un rallentamento del corso
dell'esistenza in me stesso e negli altri e mi interrogo se sia davvero
necessario un evento straordinario e gravissimo come quello che stiamo
vivendo per spezzare la frenesia consumistica che ci pervade nei tempi
normali dilatando patologicamente le nostre ambizioni ed accorciando i
contenuti tempi della nostra esistenza. Mi chiedo se solo il pericolo
della morte, presente ed avvertibile durante le epidemie e le guerre,
possa rappresentare l'antidoto contro il veleno del consumismo e la
psicosi dell'acquisire. Posseggo una raccolta fotografica di immagini di
Torino scattate all'inizio dello scorso secolo e in esse scorgo che i
viali ed i corsi del primo novecento sono sovrapponibili per maestosità e
piacevolezza estetica a quelli che osservo oggi, poveri di frenesia, di
auto e di persone. Razionalmente non posso ignorare che il
rallentamento di una società consumistica determinerà a breve termine
tensioni e disperazione sociale, ma mi chiedo se un evento traumatico
non possa portare una intera collettività alla acquisizione della
consapevolezza che i ritmi del "vivi, produci, consuma e muori" non
rappresentano un corretto investimento esistenziale.
Claudio Berrino