Un errore procedurale di pensiero o di percezione che si presenta in maniera sistematica e influenza le decisioni della persona. Questa potrebbe essere una definizione, per lo meno approssimata, di “distorsione cognitiva”.
Apparentemente la questione sembra essere molto tecnica, ma – de facto – rappresenta un problema quotidiano. Ogniqualvolta un soggetto seleziona un elemento di preferenza nel contesto di una decisione fattuale che riguardi un prodotto di marketing o si riferisca a un politico nel corso delle elezioni o, per esempio, si affidi alle affermazioni di uno scienziato che affermi una “verità” piuttosto che un’altra, si è vittime di almeno una tipologia di distorsione cognitiva. Non che questo derivi da superficialità o approssimazione nei percorsi decisionali di ognuno di noi, anzi: sono proprio gli sforzi volti a cercare di agire nella maniera più razionale possibile a essere inficiati da effetti di cui non si è nemmeno consapevoli. Le tecniche di neuromarketing si basano proprio su questo: le ricerche e la psicologia di mercato sono massimizzate, nella loro efficienza, quando tengono conto dei principali meccanismi inconsci della mente umana e lo stesso vale, ovviamente, in ambito comunicativo. Anche nel caso in cui ci si trovi a dover gestire la comunicazione relativa a un pandemia: così, fin troppo rapidamente, si passa da pandemia a infodemia.
I meccanismi sono molteplici: l’effetto carrozzone, ad esempio: le decisioni sono influenzate da “figure guida” e le persone, a loro volta, si fanno influenzare dal fatto che anche altri hanno operato le medesime scelte. Oppure, l’effetto alone: si conferiscono qualità positive a soggetti che risultano gradevoli sotto diversi aspetti; esemplificativamente, sarà più credibile una soubrette senza titoli né esperienza che dica quello che vogliamo sentirci dire piuttosto che un epidemiologo con decine di lavori scientifici al suo attivo, che affermi qualcosa di anti-conformisticamente “scomodo”. Ecco come funzionano alcuni spot che incentivano le vaccinazioni, a torto o a ragione: sono rassicuranti perché offrono una soluzione immediata e preconfezionata a costo (e impegno) zero.
Tuttavia, chi sa impiegare la distorsione cognitiva come strumento di convincimento, generalmente utilizza elementi anche più raffinati. Un vecchio adagio rimanda all’uso di “bastone e carota”, sintetizzando un aspetto cruciale: gli esseri umani si fanno influenzare dai dati circostanti. Se si promette un premio ai bersagli della comunicazione – nelle evenienze più recenti, l’abbattimento del coprifuoco, la speranza di uscire una volta per tutte da una condizione emergenziale, ecc. – gli stessi soggetti saranno più disponibili ad accettare restrizioni per ottenere il premio (effetto ancoraggio). E ogni premio, ogni traguardo raggiunto altro non è che il principio di una nuova corsa a ostacoli in cui molti ignari lemming sono pronti a partecipare, correndo senza freni, per saltar giù dalla sdrucciolevole scogliera emozionale ove termina la critica raziocinante, valicando l’ennesima Finestra di Overton; tuttavia, non è il caso di scagliarsi contro cattivi politici e ancor più maldestri consiglieri tecnici. Secondo lo stesso Lehman – che coniò l’espressione – è un errore, un vero e proprio malinteso pensare che siano i legislatori a occuparsi dello spostamento della Finestra di Overton: si tratta di pedine di uno scacchiere più grande, occupate a gestire le posizioni meno rilevanti, sotto il profilo strategico. Il concetto stesso del meccanismo cognitivo sotteso fornisce un’idea di come funzioni l’organizzazione ideativa e non fa il benché minimo riferimento all’eventuale sostegno politico dei nuovi principi che la “finestra” permette di raggiungere: chi muove le pedine apre e chiude finestre di Overton a proprio piacimento e non si cura certo dei politici che si avvicendano in modo effimero sulla scena.
Prendiamo un esempio concreto che non sia collegato con COVID-19, tanto per cambiare tema, e concentriamoci per un momento sulla postulante verde, Greta Thunberg. Meravigliosa icona di rivoluzione autorizzata, di critica anticonformista conformata, propone un’idea geniale: la colpa del problema climatico e ambientale è di tutti. Non delle politiche geo-economiche degli ultimi (quanti?) quarant’anni, non della gestione delle risorse e degli stili di vita promossi in Occidente, che impattano sull’ambiente con la tragicità che solo Greta e i “gretini” sembrano apprezzare, no: la colpa è di tutti, il che equivale a dire che non è di nessuno. Chissà quali specifiche competenze tecniche avrà mai Greta per sostanziare le sue affermazioni… l’“ideologia dell’incompetenza”, diceva con elegante cortesia Cacciari, riferendosi alla giovane alfiere dell’equilibrio climatico. Ma questo non si può dire, perché si rischia di essere tacciati di sessismo e tele-bullismo su una povera bambina che non presenta alcun discapito se non l’eroismo della verità, una verità fin troppo comoda, preconfezionata e in distribuzione a costo zero. Il tutto con il “rivoluzionario” appoggio dei tanti politici che le stringono la mano: curioso un rivoluzionario che va a braccetto con l’establishment. Chissà se, invece, un giorno avremo il piacere di sapere cosa c’è dietro alla sua ossessione compulsiva per clima e ambiente; magari un mutismo selettivo o magari… altro.
Tornando al punto, basta razionalizzare e restituire proprio alla ragione migliori spunti ed elementi su cui forgiare nuove idee; analisi e rivalutazione sono gli strumenti della reintegrazione della ragione critica: nessun problema, dunque. E invece no, nemmeno per sogno, perché la distorsione cognitiva continua.
Le persone sono portate a ricercare conferme delle proprie scelte e delle proprie idee, scartando le informazioni divergenti. Idee e ricordi sono utilizzati per confermare ipotesi già esistenti, che non vengono quindi analizzate da un punto di vista critico per quanto attiene ai loro contenuti, generalmente non compatibili con il processo di valutazione logica condotto fino a quel momento (bias di conferma). Al contrario, gli stessi ragionamenti effettuati in precedenza vengono utilizzati per confermare ipotesi già esistenti, che vengono quindi rinforzate e “agganciate” alle identiche posizioni di chi la pensa nella stessa maniera. Di fatto, un ulteriore ancoraggio: ancoraggio che viene rafforzato ancor di più dal terrorismo mediatico imperniato sull’avversione per la perdita, altro meccanismo concatenato di distorsione cognitiva. La tendenza a tenere in maggior considerazione le componenti negative rispetto a quelle positive (avversione alla perdita, appunto), atteggiamento irrazionale verosimilmente determinato da fattori connessi alla psicologia evoluzionista, scotomizza qualsiasi dato non coerente con la posizione concettuale già accettata.
Sarebbe il caso di porsi qualche domanda. Quanti sono i soggetti deceduti “per” COVID-19 e quanti “con” COVID-19? Quanti sono i soggetti deceduti nell’ultimo anno e mezzo per patologie cardiovascolari od oncologiche rispetto ai deceduti, affetti da COVID-19? E questi dati possono giustificare uno stato emergenziale che dura da quasi due anni? Ci sono prove, sotto il profilo sierologico, della reale efficacia dei vaccini? Perché, oggi, con i vaccini la situazione di contagi e decessi è peggiore di un anno fa, già da mesi? Conta qualcosa che eminenti studi scientifici dimostrino come il rischio per i più giovani sia esiguo al punto tale da non giustificare una vaccinazione di massa? Non importa.
E se, ancora, i dati reali, confermati da voci autorevoli e indipendenti contraddicono punto per punto la narrazione mediatica immersiva che da oltre un anno e mezzo ci assorda con il suo silenzio contenutistico? Di nuovo: non importa. Abbiamo infatti a disposizione un altro magnifico strumento di distorsione cognitiva, quello della valutazione a posteriori: i ricordi possono essere plasmati e, ogni volta che vengono rievocati, sono soggetti a modifiche involontarie. Spesso si è convinti di aver previsto le cose nel modo giusto prima che un evento si verificasse, il che non è quasi mai vero. Si tratta di un problema potenzialmente risolvibile in maniera piuttosto semplice, dato che sarebbe sufficiente mettere insieme campioni correttamente selezionati per poter effettuare delle valutazioni altrettanto corrette; in questo spesso i Media sembrano essere di grande aiuto, svolgendo il lavoro al posto dei soggetti che devono decidere e che si trovano a non dover faticare per approfondire e mettere insieme le informazioni corrette. I campioni sono selezionati sulla base di indicatori selezionati da “altri”, determinando preconcetti volontari che agiscono già nel momento in cui si raggruppano i dati (effetto di selezione), così la verità non diventa falsa, ma si trasforma in qualcosa di diverso: una sorta di perbenistica “non-falsità” che contiene dati “non-errati”. E tutto fila liscio – in barba a qualsiasi eterogenesi dei fini – perché la distorsione cognitiva persiste e diviene, anzi, essenziale: siccome l’alterata scelta dei dati probatori è difficile da ostacolare, risulta necessario includere l’errore stesso nelle proprie analisi. Figurarsi, poi, se tutto questo processo dovesse mai (il condizionale è d’obbligo) realizzarsi in maniera volontaria e prestabilita. Cosa accadrebbe se dovesse concretizzarsi sui metaforici binari precostituiti di uno o più soggetti a cui piacciono i treni che transitano solo in alcune stazioni, evitandone altre? E quale mai dovrebbe essere lo scopo di tutto questo?
Un certo Harry Houdini riusciva a far scomparire un elefante davanti a centinaia di spettatori increduli. Il trucco è ancor oggi oggetto di disquisizioni settoriali, ma un ingrediente indispensabile utilizzato dal grande illusionista è certo: il depistaggio. Ora, giusto per mantenere per qualche istante il dubbio critico nel viatico conoscitivo, non sarà mai che la concentrazione focalizzata su qualcosa possa avere la funzione di distrarre il pubblico da qualcos’altro? Magari da qualcosa di più importante? In questo modo, ci si concentra sulla “questione del momento”, aspettando una magica soluzione: per tornare all’infodemia, il COVID-19 diventa l’affare cult del periodo, mentre si attende con trepidazione la magia del vaccino. Arrivata la magica soluzione, la contestuale distorsione cognitiva fa sì che non ci si avveda del rovesciamento situazionale: il vaccino diventa a sua volta l’affare del momento sostituendo il COVID-19 e il Green Pass assume la funzione di nuova magia.
Nello stesso modo, come suggeriva di recente il filosofo Fusaro, mentre la resistenza lascia spazio alla resilienza, non ci si avvede dell’attuale transizione socio-politica in corso, perché ci si concentra sulla cosiddetta transizione ecologica. E così via, mentre gli illusionisti attirano l’attenzione su un aspetto marginale, il gioco di prestigio prosegue e così i trucchi necessari al suo compimento, fino al momento in cui non sono più necessarie mistificazioni perché, sulla scena, qualcosa è cambiato permanentemente: il controllo del pubblico, che brama solo di essere nutrito e intrattenuto, è ormai completo. Nemmeno Giovenale, con il suo brocardo “panem ed circenses”, avrebbe saputo sintetizzare meglio la questione; d’altro canto, Giovenale visse in un’epoca “solo” imperiale. Così, mentre ci si concentra su dettagli poco rilevanti, sul “dito che indica la luna”, la democrazia viene svuotata dal suo interno, le garanzie costituzionali vengono abbattute in nome della sicurezza sanitaria e la libertà individuale viene sempre più coartata. Fin qui l’ovvio. Ma quali soluzioni?
“Resistere”, potrebbe essere la corretta risposta. Non ribellione, non rivoluzione, ma resistenza; se, infatti, la rivoluzione aspira a un rovesciamento dell’ordine costituito, la resistenza si pone invece l’obiettivo di conservare un ordinamento che appare minacciato, rivolgendosi contro una violazione di tale ordinamento già concretizzata, al fine di reintegrarlo nella struttura delineata dai suoi principî fondamentali, dopo aver esperito ogni possibile rimedio predisposto dallo stesso ordinamento, senza risultato. D’altro canto, è fin troppo pleonastico osservare come il potere costituito utilizzi le garanzie costituzionali fino a quando queste sono utili alla propria sopravvivenza, per modificarne forma e contenuti qualora sopravvengano dinamiche nuove e ove siano presenti soggetti che tendano a proporsi come nuovo potere costituente. Da tali geometrie dinamiche discendono i concetti di legislatura costituente e disobbedienza civile costituente. In sintesi, si contrappongono potere costituito e costituente in una dinamica di partecipazione democratica attiva dei cittadini mediante dissenso, critica e, in ultimo, violazione delle norme… dunque, resistenza. Una resistenza necessaria, un diritto di resistenza connesso al dovere di fedeltà alla Repubblica, di cui il cittadino – trovandone riscontro negli articoli 1, 2, 3 e 54 della Costituzione – deve farsi latore, se intende vivere in un contesto democratico: sarebbero quindi proprio la legislatura costituente e la disobbedienza civile costituente a poter compensare in via (realmente) emergenziale la crisi democratica odierna, espletando di fatto un vero e proprio diritto repubblicano. Rivisitando Rodotà, si potrebbe affermare che esiste una connessione inedita tra astrazione dei diritti e concretezza dei mutamenti sociali. Il diritto di resistenza diventerebbe quindi, ove esercitato per garantire il rispetto di diritti fondamentali dell’individuo, il punto di contatto più elevato tra morale e diritto.
Heidegger considerava la deviazione platonica del concetto di “verità” (ἀλήθεια, aletheia), peraltro peggiorato e incancrenito dalla scienza moderna, come la strada più diretta per un processo distruttivo; processo il cui riscatto poteva realizzarsi solo congedandosi da quelle stesse modalità di pensiero, abituale in Occidente, che è il calcolo, la matematizzazione dell’ontologico. Nel pensiero “calcolatore” – imparagonabile al pensiero “pensante” – è la radice della perdizione, perché “…ciò che è veramente inquietante non è che il mondo si trasformi in un completo dominio della tecnica. Di gran lunga più inquietante è che l' uomo non è affatto preparato a questo radicale mutamento del mondo. Di gran lunga più inquietante è che non siamo ancora capaci di raggiungere, attraverso un pensiero pensante, un confronto adeguato con ciò che sta realmente emergendo nella nostra epoca”.
Secondo il filosofo, occorre quindi un ritorno alla Weltanschauung pre-platonico-aristotelica, non legata all’oggettivazione, ma al disvelamento: una concezione di vita che non passa attraverso il tentativo di controllo universalizzato sul concreto cui si finisce per asservirsi volontariamente, ma un ritorno a qualcosa di più alto. Il ricordo di quanto si intuisce prima ancora di comprendere: il falso controllo causale sulla realtà è forse la più ascosa e terebrante delle distorsioni cognitive, mentre il riconoscimento di essere parte ed espressione di una verità più elevata è un processo fondamentale e indipendente che consente di superare fasulli antagonismi dualistici.
Per dirla e concludere con Marcuse, l’immaginazione è la chiave: “la fantasia ha un proprio valore di verità, che corrisponde a un’esperienza propria… L’immaginazione tende alla riconciliazione dell’individuo col tutto, del desiderio con la realizzazione, della felicità con la ragione. Mentre quest’armonia è stata relegata nell’utopia dal principio della realtà costituita, la fantasia insiste nell’affermare che essa deve e può diventare reale, che dietro all’illusione sta vera Conoscenza”.
Dr. Manlio M. MILANO, M.D.
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