Sono un giurista e comprendo perfettamente come un comportamento violento, sotto un profilo giuridico, sia censurabile perché crea una situazione di lesione di altrui diritti e di disordine pubblico. Se però sposto il "focus " della mia analisi sotto un profilo sociologico giungo a conclusioni dissimili. La società, di fronte a prevaricazioni e prepotenze, siano esse esercitate da criminali oppure da governi criminali, trova nell'atto reattivo violento un necessario elemento di compensazione e di dissuasione. Ragioni etiche ci inducono a provare avversione per tutto quanto possa produrre altrui sofferenza e danno ma talvolta un "innaturale " comportamento violento diviene elemento di limite e contrapposizione ad azioni di violenza istituzionale generalizzata. Nella Storia le tirannie sono state frequentemente avversate da moti di piazza violenti che, a seconda delle loro dimensioni numeriche assumevano carattere di rivolta oppure di rivoluzione. Con questa mia breve osservazione non voglio in alcun modo essere interpretato come un apologeta della violenza reazionaria o rivoluzionaria ma, al contrario, desidero evidenziare come, quando di fronte a manifeste ingiustizie non si contrappongono reazioni violente e spontanee, la situazione si cristallizza divenendo realmente preoccupante in ragione della sua definitività.
Claudio Berrino