sabato 8 maggio 2021

IL BANCHIERE DI MILANO – DI IPPOLITO EMONDO FERRARIO

L’analisi di una narrazione, soprattuttquando questa assume la forma di un romanzo, passa attraverso l’esame delle sue singole componenti, intendendo per esse i fatti narrati, gli elementi circostanziali, i personaggi, la relazione maggiormente o minormente armonica tra queste differenti parti dell’insieme.

L’opera “il Banchiere di Milano” è caratterizzata da uno stile espressivo diretto, franco, che non lascia spazio  alla leziosità espressiva ma nel contempo possiede doti di  descrizione circostanziale sapendo arricchire i fatti narrati con il “circum stat”, ovvero con quanto “sta intorno” ad essi, impreziosendo così l’ordito del racconto.

La “dimensione lombarda” descritta è realistica e la geometria narrativa correla le eterogenee componenti della  politica, della malavita organizzata, dell’idealismo ponendo le basi per un coinvolgimento psicologico del lettore. 

Personalmente mi è stato difficile, nella progressione della lettura, non trovare analogie e successivamente  immedesimarmi  compiutamente con la figura del Banchiere, con i suoi processi logici, con la sua insofferenza, con la sua dimensione etica ed estetica dell’esistenza, anche se, a scanso di equivoci aventi rilevanza penale, non posso non precisare che si è trattato di una mera immedesimazione letteraria.

Del resto come non provare una naturale ed istintiva simpatia nei confronti di un personaggio dai tratti rinascimentali da cui trapela, in 
ogni modalità del suo agire, un apprezzabilissimo disprezzo per il mondo contemporaneo e per la sua volgarità egualitaria, per l’aberrazione della prevalenza della legge del numero su quella della qualità.

La lettura si è tradotta in un piacevole investimento di tempo, mentre la qualità e l’eleganza del racconto non possono che fare auspicare una prosecuzione della meritoria opera dell’Autore con l’estensione di ulteriori volumi aventi lo stesso soggetto.

Claudio Berrino

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