La guerra è di per sé un evento estremo, talvolta necessario, che costituisce una ineludibile fonte di traumi e lacerazioni umane, individuali e collettive. Dovrebbe avere un inizio ed una fine, come tutto, secondo i tempi scanditi dal Dio Giano. Quando il limitare del tempo di guerra viene travalicato e i crimini nei confronti della parte soccombente proseguono durante il "tempo di pace" inizia la barbarie. I crimini in questione possono essere eventi omicidiari plurimi posti in essere dalla suburra, oppure possono essere autorizzati con norme legislative che rendono improcedibili crimini efferati amnistiandoli o definendoli "atti di guerra ", oppure ancora possono tradursi nella negazione della libertà di pensiero e di espressione ai vinti dapprima realizzata con una norma di rango costituzionale definita "transitoria", poi divenuta definitiva in virtù di una singolare interpretazione della Consulta, e ancora successivamente cristallizzata in una legge ordinaria dello Stato. La memoria storica delle adolescenti, delle donne, degli uomini seviziati e trucidati a guerra finita viene rimossa e si crea una ricostruzione immaginaria ed irreale di eventi inesistenti. La perfidia infinita prosegue nei decenni successivi attraverso un'iconografia cinematografica, televisiva e letteraria volta ad edulcorare taluni eventi di mero terrorismo politico proponendoli addirittura come modelli comportamentali socialmente apprezzabili. L'apoteosi del degrado morale viene infine raggiunta quando parte della progenie degli sconfitti, per ragioni di utilitarismo frammisto a incultura politica, fa proprio il travisamento operato dai vincitori, la loro agenda etica, i relativi modelli valoriali, e vi si adegua rinnegando il sangue versato dai propri progenitori, in un miserevole e volgare tentativo di trasformismo. Naturalmente le mie sono considerazioni di carattere generale, non relative ad una Nazione specifica. Il 25 aprile, ad ogni buon conto, non è solo una ricorrenza storica su cui svolgere considerazioni differenti ma l'attestazione della convivenza impossibile, o della impossibilità di convivenza, di realtà ontologiche ed antropologiche incompatibili tra loro. È comunque il rango del nemico ad attribuire la primazia, vincere o perdere è questione irrilevante.
Avv. Claudio Berrino
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