lunedì 16 marzo 2020

LA "DIDATTICA "DELLA MORTE

Gli "arresti domiciliari " da Covid19 proseguono. Trascorro da alcuni giorni la mia vita tra studio professionale e casa. Sono state rinviate le udienze in Tribunale, si sono rarefatti i colloqui con i clienti, lo studio del contenzioso procede con una tranquillità e lentezza che precedentemente non conoscevo. Sono immerso in un microcosmo di cui riesco finalmente a scorgere le sfumature ed a percepire un silenzio ovattato a cui mi sto pericolosamente abituando. Nelle poche centinaia di metri che mi separano dal mio luogo di lavoro riesco addirittura a scorgere taluni aspetti psicologici delle persone che incontro. In questi giorni osservo che anche il loro abbigliamento è cambiato, diventando minormente formale e pretenzioso. Le giacche e le cravatte dei Colleghi hanno ceduto il posto ai maglioncini, le scarpe inglesi a piú confortevoli "polacchine" con suole in gomma. I loro volti tradiscono contemporaneamente paura e tranquillità, due sentimenti contrastanti ma che vedo stranamente coesistere. Percepisco un rallentamento del corso dell'esistenza in me stesso e negli altri e mi interrogo se sia davvero necessario un evento straordinario e gravissimo come quello che stiamo vivendo per spezzare la frenesia consumistica che ci pervade nei tempi normali dilatando patologicamente le nostre ambizioni ed accorciando i contenuti tempi della nostra esistenza. Mi chiedo se solo il pericolo della morte, presente ed avvertibile durante le epidemie e le guerre, possa rappresentare l'antidoto contro il veleno del consumismo e la psicosi dell'acquisire. Posseggo una raccolta fotografica di immagini di Torino scattate all'inizio dello scorso secolo e in esse scorgo che i viali ed i corsi del primo novecento sono sovrapponibili per maestosità e piacevolezza estetica a quelli che osservo oggi, poveri di frenesia, di auto e di persone. Razionalmente non posso ignorare che il rallentamento di una società consumistica determinerà a breve termine tensioni e disperazione sociale, ma mi chiedo se un evento traumatico non possa portare una intera collettività alla acquisizione della consapevolezza che i ritmi del "vivi, produci, consuma e muori" non rappresentano un corretto investimento esistenziale.

Claudio Berrino