domenica 18 giugno 2023

IL POTERE, IL SUO ABUSO, L'IMPUNITÀ CONCESSA.

Talvolta quanto viene deciso da altri determina in noi un acuto e persistente senso di avversione e di ripugnanza morale, accompagnato da un sordo malumore. E’ quanto accade in presenza di una compressione di un nostro diritto, rappresentata paradossalmente come iniziativa garantista, da chi si fa gioco della nostra intelligenza e capacità di analisi.

Il Legislatore del 1930, periodo storico in cui alle “libertà proclamate” ma mai realizzate venivano preferite le “libertà attenuate” ma attuate e garantite, contemplava il reato di abuso d’ufficio, noto anche come “abuso di potere” al fine di reprimere quelle condotte che si traducevano nell’agire di quei pubblici ufficiali che in modo arbitrario o discriminatorio, abusavano dei loro poteri o delle loro funzioni, al fine di ottenere un vantaggio personale o di arrecare un danno a un terzo o alla collettività.
Il “Codice Rocco”, per meglio intenderci, tutelava le “libertà garantite” dei cittadini qualora questi fossero occasionalmente vittime degli abusi posti in essere da rappresentanti infedeli delle Pubbliche Amministrazioni, con il duplice scopo di difenderli da soprusi e di rafforzare il necessario senso di fiducia che lo “Stato Collettività” – in una Nazione civile - deve nutrire nei confronti dello “Stato Apparato”.
Oggi i tempi sono cambiati e l’imminenza delle attività amministrative di gestione delle risorse del PNRR induce gli scodinzolanti servitori dell’Unione Europea ad abrogare le norme volte a ledere l’ impunità dei loro gregari che si occuperanno di detti flussi finanziari.
Se la “scusante” di tale linea di condotta è che una percentuale importante di processi per abuso d’ufficio si conclude con l’assoluzione degli imputati, e pertanto – secondo questa perversa logica - non varrebbe la pena di perseguire detta tipologia di illecito, si potrebbe obiettare come il ” numero oscuro” – ovvero la percentuale di delitti non perseguiti riguardi numerosi crimini di rilevante impatto sociale e, sulla base di questa impostazione concettuale, si potrebbe richiedere l’impunità penale anche per questi ultimi. 
Per intenderci meglio, magari seguendo lo schema che ha condotto alla non punibilità penale per i medici vaccinatori durante la pandemia.
Duole davvero rilevare come questo atto di analfabetismo giuridico promani da una forza politica che, in campagna elettorale, si professava “paladina” dei diritti della collettività, ma le promesse elettorali disattese sono oggi talmente ampie da inibire lo stupore anche del più ingenuo degli osservatori.

Claudio Berrino

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